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Ricetta originale

Amaro del Tumusso

GENZIANA (Gentiana Iutea L.)

Pianta erbacea perenne di lenta crescita, ha un sapore amarognolo, stuzzicante. È una pianta dalle molteplici proprietà ed è per questo considerata tra le più preziose.

RAFANO (Armoracia rusticana L.)

È una pianta addomesticata in seguito alle invasioni barbariche in Italia Meridionale e tutt’ora coltivata nei territori dell’Antica Lucania. Pungente e quasi piccante, la radice del Rafano ha un sapore acre, paragonabile a quello della senape ma con un’inaspettata capacità rinfrescante.

LAURO (Laurus Nobilis L.)

L’alloro è la corona dei sapienti, è l’omaggio alla cultura. E come gli artisti di cui se ne cingeva il capo, l’alloro possiede forza, carattere e un aroma fine e distinto.

ELICRISO (Helichrysum italicum (Roth) G. Don)

Dal sapore sorprendente e dal profumo inebriante, l’Elicriso ricorda la liquirizia, sebbene più elegante e discreto. È una pianta fortemente legata ai suoli calcarei, ma particolarmente adattabile fino ai 1100-1200 m di altitudine.

Una nuova tecnica

Amaro affinato in Anfora

Tumusso è un amaro prodotto con metodi artigianali mediante macerazione idroalcolica e poi affinato per un periodo non inferiore a 60 giorni in anfore di terracotta fiorentine. Un metodo che utilizza uno dei materiali più antichi conosciuti dall’uomo e che lo arricchisce in eleganza e morbidezza.  

Una tecnica innovativa per i distillati che abbiamo voluto sperimentare, ottenendo eccellenti risultati: la micro ossigenazione, doppia rispetto a quella che avviene con l’uso del legno, inesistente nel caso del vetro o dell’acciaio, arricchisce l’amaro di eleganza e morbidezza, regalando così un Amaro da gusto straordinario.

Una tradizione centenaria

La Storia

Una tradizione centenaria

La Storia

L’amaro del Tumusso è frutto di tradizione e di esperienze. Si ispira alle antiche ricette e si mescola alla sapienza locale. È il risultato di un vero e proprio viaggio sensoriale, fatto di profumi e sapori, di storie e racconti di un mondo che non esiste più. L’incontro che ha segnato l’inizio di tutto è avvenuto in un giorno qualsiasi di un mese qualsiasi. Non si trattava però di un interlocutore qualsiasi. Con in mente il desiderio di comporre una ricetta speciale per il nostro amaro, ci incamminavamo spesso per le vie dei borghi del Vallo di Diano, “intervistando” qua e là gli anziani del luogo. Il primo, e forse l’unico, ad avvicinarsi a noi fu un uomo dalla barba bianca e incolta, con gli occhi buoni e vispi. Un uomo alto e magro, un po’ curvo, che fu subito incuriosito dalle domande e dalle chiacchiere che volentieri scambiavamo con le persone locali. Non passò molto tempo prima che le parole sgorgassero a fiumi dalla sua bocca; ci raccontò dei suoi genitori, dei suoi nonni, dei suoi avi; di una famiglia cresciuta da generazioni alle porte della grande abbazia di Padula.
Una famiglia povera che sfamava i propri figli grazie ai piccoli lavoretti che i monaci permettevano loro di fare nelle loro proprietà. Nella sua voce, tanta gratitudine. Quando ci mettemmo a chiedere di più riguardo alle colture, alle spezie e alle erbe spontanee, sobbalzò. Aveva ancora in mente i colori e nel naso i profumi di quelle distese infinite di vegetazione, di spezie e di erbe. Le spezie e le erbe, così ampiamente diffuse in tutta l’area del monastero, auguravano ai monaci e alla sua famiglia il buongiorno e la buonanotte, emanando costantemente dolci fragranze che invadevano le sale e profumavano le stoffe. Impossibile era fermare il flusso di aneddoti, storie che si accavallavano le une alle altre. Chissà da quanto tempo desiderava condividere i propri ricordi. Ricordava perfettamente l’importanza che avessero per i monaci le erbe, le essenze, le spezie. Ci raccontò della genziana, benefica ma dal forte sapore, e dell’elicriso, stuzzicante e piccantino. Degli esperimenti che i monaci facevano costantemente tritando e miscelando, delle ampolle e della gioia quando quelle ampolle finalmente contenevano erbe medicali.
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Era la vera ricchezza della comunità intera e costituiva l’unico apparato per la cura e il benessere di tutti. Le ricette di quelle ampolle erano conservate accuratamente, anche quelle che non avevano avuto esito positivo. Tutte facevano parte di un grande libro polveroso. Non c’era da meravigliarsi se i monaci rimanevano fedeli anche alle ricette “sbagliate”, ci volevano mesi prima di avere un esito e quegli errori non andavano replicati. Ricordava ancora le lunghe schiere di ampolle piene di erbe e spezie, selezionate e conservate con cura e dedizione. La conversazione durò a lungo, al punto che ad un certo punto ci sentimmo liberi di chiedere se avesse qualcosa, un ricordo tangibile di queste mirabilia. Non fummo fortunati, o meglio lo fummo a metà. Non c’era nulla di tangibile, se non la sua memoria, la sua solida e ricca memoria. L’Amaro del Tumusso stava per prendere vita e noi non lo sapevamo ancora. Ci raccontò degli studi, delle ricerche e delle lunghe attese, ma anche di erbe dal profumo inebriante e di ricette antiche che custodiva gelosamente nei propri ricordi.
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Quando ci siamo fermati ad immaginare la ricetta perfetta era chiaro che volessimo omaggiare ognuno di loro, ringraziandoli d’averci lasciato un’importante eredità e averla conservata di generazione in generazione. L’Amaro del Tumusso nasce dai racconti di una comunità intera, dall’amore per il territorio e dalle storie di tempi antichi. La ricetta è il risultato di uno studio approfondito e l’unione di più preparazioni, è l’unione perfetta ed equilibrata di erbe autoctone, vivaci e corroboranti. Il nostro amaro conserva i colori, gli odori e gli aromi di un tempo e li restituisce in un sorso rigenerante. Porta nel suo sapore ricette antiche e nel suo nome la tradizione di una fiera importante, di un momento di gioia condivisa. L’Amaro del Tumusso nasce per allietare i momenti di convivialità, perché c’è sempre un buon motivo per brindare e c’è sempre un buon motivo per stare insieme. È questa forse la più alta ambizione dell’Amaro del Tumusso: essere al tuo fianco, sempre.
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